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Anoressia: l’impatto della mindfulness

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La meditazione mindfulness è già da tempo un metodo riconosciuto a livello mondiale per affrontare l’Anoressia Nervosa. La sua efficacia nel trattamento clinico della cachessia neurogena (gli stati più gravi di dimagrimento presenti in alcune pazienti affette da AN), tuttavia, non mai era stata studiata fino ad oggi.

Uno studio condotto presso la Kyoto University’s Graduate School of Medicine ha dimostrato che la meditazione mindfulness riduce effettivamente l’ansia associata al peso. I risultati ottenuti mostrano infatti cambiamenti nell’attività delle regioni cerebrali coinvolte nell’ansia. Il programma di meditazione mindfulness proposto nel corso dello studio ha visto una diminuzione significativa dei pensieri ossessivi sull’immagine di sé dei soggetti del test e dell’attività cerebrale associata alle emozioni correlate.

Mindfulness e meditazione vanno di pari passo. La prima insegna ai praticanti ad affinare la consapevolezza dell’esperienza presente e la capacità di non giudicare e accettare le circostanze. La seconda è il mezzo con cui ci si può avvicinare alla mindfulness. “Ci siamo concentrati sulla possibilità che i pazienti con AN cerchino di evitare l’ansia paralizzante per l’aumento di peso e l’immagine di sé limitando il cibo o vomitando”, aggiunge il coautore Masanori Isobe.

Un programma di intervento mindfulness di 4 settimane ha esaminato i cambiamenti neurali utilizzando compiti progettati per indurre l’ansia legata al peso in 22 pazienti. I ricercatori hanno poi regolato l’ansia aiutando i pazienti ad accettare le situazioni e le esperienze attuali al loro valore nominale, invece di evitarle.

I ricercatori hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (o fMRI) per analizzare la regolazione dell’attenzione in relazione ai disturbi alimentari. I risultati dello studio hanno confermato le impressioni dei ricercatori, nonostante diversi eventi, come la pandemia di Covid-19 e la guerra russo-ucraina, siano stati evidenziati come fattori significativi di aggravamento per le ansie dei pazienti.

 

DCA Coaching

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Negli ultimi due o tre anni si sente spesso parlare di Coach per i disturbi alimentari; ma che cos’è esattamente un DCA Coach? E cosa bisognerebbe controllare prima di affidare la propria salute a una di queste figure professionali?

Con la crescita della domanda di cure per i disturbi del comportamento alimentare (aumentati esponenzialmente negli anni della pandemia) e data la cronica incapacità dei servizi di salute mentale nel rispondere adeguatamente a questo tipo di richieste, vi sono sempre più figure professionali parallele (operanti solitamente nel privato) che cercano di riempire i vuori lasciati dal SSN e, talora, alcune di queste figure hanno davvero ben poco di “professionale”.

E così, in aggiunta alle varie associazioni e gruppi di pazienti/genitori che da anni cercano di proporre una valida alternativa ai servizi, in supporto a questi pazienti, gli anni della pandemia hanno visto il fiorire di una moltitudine di coach specializzatisi nel supporto e nella riabilitazione di pazienti affetti da questo tipo di disturbi.

Questo florilegio si è verificato non soltanto in Italia ma più o meno in tutti i paesi del mondo occidentale (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Australia, etc.) che sono i più affetti dal proliferare dei DCA. In Italia purtroppo se ne parla ancora poco o nulla. Vero, la pandemia ha visto esplodere il fenomeno del coaching online in genere. Dai Coach finanziari, a quelli del fitness, da quelli di coppia, a quelli del wellness, sembra vi sia una coorte di personaggi in grado di soddisfare bisogni di qualsiasi tipo. Purtroppo, molti di questi “specialisti” nell’altrui problem-solving non sempre sono in possesso dei titoli o delle qualifiche più adeguate al ruolo che impersonano e molte (troppe) persone in difficoltà finiscono per affidarsi a costoro prima ancora di verificarle.

Ma dove si trovano questo tipo di Coach? La maggior parte di loro pubblicizza la propria attività tramite i social media (Instagram, FB, Pinterest e TikTok innanzitutto). Il processo di selezione dei pazienti (prevalentemente di sesso femminile) si basa su una serie di questionari da compilarsi online che indagano il peso e il tipo di richiesta dei pazienti. La promessa è tipicamente quella di liberarsi dai sintomi del disturbo recuperando il peso desiderato (dal paziente; non necessariamente quello ideale), il risultato è garantito e i titoli formativi del coach vengono solitamente esagerati al fine di attrarre clienti. Il prezzo richiesto può andare da qualche centinaio a qualche migliaio di euro, pagati solitamente attraverso canali difficilmente tracciabili.

Negli ultimi tre anni mi è capitato di incontrare otto pazienti che erano rimasti vittime di questo tipo di pratiche scorrette. In quattro di questi casi, erano addirittura evidenti reati che andavano dalla tentata violenza carnale alla circonvenzione di incapace. Sicuramente – diranno i lettori – quando ciò accade la colpa è da imputarsi tanto alla vittima quanto all’impostore ma in realtà sono da considerarsi complici anche molte piattaforme social che fingono di ignorare cosa accade tra le loro pagine web.

Inoltre, la legislazione che riguarda il coaching / counselling (sia in Italia che nel resto dei paesi occidentali), è gravemente carente al punto che, se digitate “come diventare coach” sui motori di ricerca scoprirete una quantità di corsi che promettono di mettervi in grado di diventare coach certificati, indipendentemente dalle vostre competenze di partenza. Evidentemente si tratta di un mercato ricco di richieste e questo dà l’idea delle dimensioni del problema.

Come proteggersi? Innanzitutto diffidando dalle offerte di aiuto non richieste, specie se queste provengono da piattaforme social (indipendentemente dal fatto che si tratti di persone dello stesso sesso, piuttosto che di persone di sesso opposto). Se si decide di richiedere aiuto è fondamentale verificare i titori del counsellor (consiglio di evitare direttamente coloro che si autoproclamano coach). Si tratta di un laureato/a in medicina o psicologia? Può dimostrare il possesso di una specializzazione in psicoterapia e/o nel trattamento di disturbi del comportamento alimentare? Da quanto tempo opera sul mercato? E’ iscritto ad un albo professionale? Possiede una partita IVA o lavora per un presidio sanitario specialistico? E infine il pagamento; evitiamo le ricariche telefoniche, quelle su carte prepagate (tipo Mooney, etc.) e tutti i cosiddetti pagamenti non tracciabili. E, quando in dubbio, chiedete consiglio a qualcuno più esperto di voi. Oppure al vostro medico di fiducia.

Trovare persone competenti da cui farsi aiutare non è difficile. Il problema consiste nell’avere il coraggio di farlo e nel non farsi abbindolare dai falsi esperti.