Disturbi Alimentari e Motivazione al Trattamento: Perché È Così Difficile Curarsi?

Chi soffre di disturbi del comportamento alimentare (DCA) è spesso considerato, in ambito clinico, uno dei pazienti più complessi da trattare e la motivazione al trattamento.
Non perché il disturbo sia incurabile, ma perché chi ne è colpito arriva alla richiesta d’aiuto con intenzioni ambivalenti, sospeso tra il desiderio di guarire e la paura di abbandonare il sintomo.


Il DCA come difesa, non solo come disturbo

A differenza di molti altri pazienti che si rivolgono al medico con la chiara volontà di liberarsi del sintomo, la persona con DCA spesso si presenta con una richiesta confusa:

  • Vuole mantenere il controllo sul peso

  • Vuole attenuare la fatica, non perdere la strategia che le ha permesso di sopravvivere

  • Non chiede aiuto per l’ossessione, ma per la perdita di controllo su di essa

Il controllo del corpo diventa così una difesa dal mondo, una risposta disfunzionale ma per anni vissuta come unica fonte di stabilità.


Una domanda nascosta sotto la paura

Spesso, dietro un’apparente freddezza, perfezionismo, o rifiuto del trattamento, si nasconde una verità molto semplice:

Il paziente vorrebbe cambiare, ma ha una paura tremenda di farlo.

Teme che, senza quel controllo su peso e alimentazione, sarà esposto al giudizio, all’inadeguatezza, al senso di fallimento. Teme di affondare emotivamente.


La metafora del relitto e del salvagente

Immagina un naufrago che è riuscito a sopravvivere per giorni, aggrappato a un relitto.
Quando finalmente arriva un elicottero e gli lancia un salvagente, lui esita.
Non perché non voglia essere salvato, ma perché quel relitto, per quanto instabile, gli ha salvato la vita fino a quel momento.

E se lasciandolo andasse incontro a qualcosa di ancora peggiore?

  • E se il salvagente non reggesse il suo peso?

  • E se la corda si spezzasse?

  • E se l’elicottero si schiantasse?

Ecco: per molti pazienti con DCA, il disturbo è quel relitto, e la terapia è il salvagente. La resistenza al cambiamento è una reazione comprensibile, non ostilità.


Il ruolo del terapeuta: empatia prima di tutto

Chi lavora con pazienti DCA deve riconoscere e accogliere questa ambivalenza, senza forzature né giudizi.
Il primo passo per aiutare davvero è capire la paura che si cela dietro il sintomo, e restare accanto al paziente mentre, piano piano, valuta se lasciarsi salvare.

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