La diagnosi di autismo nella donna adulta

La diagnosi di autismo tardivo nella donna

La diagnosi di autismo tardivo nella donnaImage©: Daniel_Nebreda

Oggi vorrei parlarvi della diagnosi di autismo tardivo nella donna dal punto di vista clinico. E vorrei iniziare da un quesito che mi sono spesso sentito porre dalle mie pazienti.

“E se non fossi stata solo timida, ansiosa o troppo sensibile?”
È una domanda che tante donne ormai adulte portano in seduta. Alcune hanno passato anni con diagnosi parziali quali: disturbi alimentari, ansia sociale, depressione atipica, disturbo borderline. Altre non hanno mai avuto un’etichetta, solo la sensazione costante di dover sforzarsi per essere “normali”.
E poi succede qualcosa — talvolta la diagnosi di un figlio o magari un post letto per caso sui social — che fa scattare la domanda: “E se fossi autistica anch’io?”

La diagnosi tardiva di autismo nelle donne è una realtà ancora troppo poco esplorata, ma sempre più presente nei contesti clinici. E porta con sé un carico emotivo enorme, fatto di risposte, ma anche di ferite aperte da tempo.

Il motivo per cui molte donne autistiche non ricevono una diagnosi da bambine è semplice e sconcertante: mascherano. Fin da piccole apprendono, spesso inconsapevolmente, a imitare le altre, a copiare comportamenti sociali, a sorridere nei momenti giusti anche se dentro sono esauste o confuse.
In clinica, molte raccontano un’infanzia vissuta nell’ansia di “sbagliare”, un’adolescenza passata a studiare i codici sociali, relazioni complicate, e una vita adulta piena di burnout, crisi di identità, senso di inadeguatezza.

Alcune frasi tipiche che emergono nei colloqui:

“Mi hanno sempre detto che ero troppo sensibile.”

“Mi sentivo diversa ma cercavo di adattarmi.”

“Facevo finta di capire cosa provavano gli altri, ma non era naturale.”

“Ogni situazione sociale mi sfinisce, ma pensavo fosse normale.”

Spesso queste donne sono intelligenti, empatiche, con carriere solide. Ma vivono un malessere interno silenzioso, fatto di iperadattamento e stanchezza cronica.

La diagnosi tardiva di autismo non è una condanna, anzi: per molte è un vero e proprio atto liberatorio.
Finalmente possono rileggere la loro vita con una nuova chiave di lettura. Comprendere che la fatica nelle interazioni non è debolezza, ma una manifestazione della neurodivergenza. Che l’ipersensibilità non è esagerazione. Che l’amore per la routine, il dettaglio o la solitudine non è un difetto da correggere.

La psicoterapia, in questi casi, ha un valore doppio: da un lato offre uno spazio sicuro per elaborare la diagnosi e il passato, dall’altro aiuta a costruire un nuovo equilibrio fatto di autenticità, non più solo adattamento. Si lavora sul senso di colpa, sull’autostima, sull’identità. Si validano i bisogni (anche sensoriali). E soprattutto, si normalizza il diritto a non dover più fingere, allo smascheramento.

Come terapeuti, dobbiamo essere pronti a vedere l’invisibile. Le donne autistiche adulte spesso non corrispondono allo stereotipo dell’autismo. Ma raccontano, se ascoltate con attenzione, una storia coerente e potente. Ecco perché è fondamentale aggiornare i nostri strumenti diagnostici, conoscere le differenze di genere nell’espressione dello spettro, e creare percorsi psicologici che tengano conto della loro esperienza specifica.

Se sei una donna adulta che si è sempre sentita “fuori posto”, o una professionista della salute mentale che vuole capire di più, inizia da qui. L’autismo non è solo silenzio e distacco. Può essere anche empatia estrema, fatica sociale e intelligenza mascherata. Se vuoi approfondire o raccontare la tua esperienza posso aiutarti a esplorarla con rispetto e senza etichette inutili. Scrivimi.

Disturbi alimentari e ADHD: un’associazione complicata

L’associazione tra Disturbi alimentari e ADHD

associazione tra Disturbi alimentari e ADHDImage ©: Geralt

Sapevi che i disturbi alimentari possono associarsi a una ADHD? Se ti sei mai ritrovato a mangiare senza controllo, a sentirti in colpa subito dopo, o a passare ore e ore a pensare al cibo, al peso o al corpo, sappi che non sei solo. E se oltre a questo ti riconosci anche in una mente che salta da un pensiero all’altro, nella fatica a concentrarti, a stare fermo o a gestire le emozioni… beh, potresti trovarti nel mezzo di una combinazione più comune di quanto non si pensi: ADHD e disturbi alimentari.

Questa combinazione si chiama comorbidità – una parola complicata per dire che due difficoltà diverse possono convivere e influenzarsi a vicenda. E quando succede, può diventare davvero dura capire da dove iniziare per stare meglio.

Perché ADHD e disturbi alimentari si associano così spesso? L’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) non riguarda solo i bambini iperattivi ma anche gli adulti, spesso senza che nessuno lo abbia mai diagnosticato. Si manifesta con difficoltà a mantenere l’attenzione, gestire il tempo, organizzarsi, ma anche con emozioni intense e reazioni impulsive.

Ora pensa al cibo: è sempre lì, disponibile, veloce, capace di calmare, distrarre o dare una sensazione momentanea di piacere. Per chi ha l’ADHD, il cibo può diventare un modo per regolare emozioni difficili, noia, ansia, frustrazione o anche solo per sentirsi “a posto” per un attimo.

In particolare:

  • il binge eating (le abbuffate compulsive) è molto frequente in chi ha ADHD;
  • anche l’anoressia e la bulimia possono nascondere una fatica più profonda nel gestire emozioni e impulsi;
  • nelle donne, l’ADHD è spesso meno visibile e può essere mascherato da un forte controllo sul corpo e sull’alimentazione.

La buona notizia è che si può lavorare su entrambi, insieme. Forse ti è già capitato di iniziare un percorso per l’ADHD o per i disturbi alimentari, ma senza sentire un vero miglioramento. Questo accade quando si guarda solo a metà della storia (come accade nell’associazione tra autismo e disturbi alimentari).

Per stare davvero meglio, serve un approccio che tenga conto di entrambe le cose. Non è una questione di “etichetta”, ma di capire davvero come funzionano il tuo corpo e la tua mente.

Nel mio lavoro come psicoterapeuta, ho visto che:

  • quando si lavora solo sul cibo senza toccare l’ADHD, il miglioramento è spesso temporaneo;
  • quando si riconosce l’ADHD e si lavora anche su come ti fa vivere le emozioni, il tempo, il corpo e le relazioni, il percorso diventa più profondo e autentico;
  • non sei sbagliato: semplicemente, stai lottando con due difficoltà che si alimentano a vicenda.

Da dove partire? Ecco qualche spunto concreto:

  • Se ti riconosci in quello che hai letto, parlane con uno psicoterapeuta che conosca bene sia l’ADHD che i disturbi alimentari.
  • Scrivi nero su bianco i momenti in cui ti senti fuori controllo col cibo: cosa succede prima, cosa provi dopo?
  • Inizia ad osservare il tuo rapporto con il tempo, con l’attenzione, con il corpo. Non per giudicarti, ma per conoscerti davvero.

E ricorda: chiedere aiuto non significa essere deboli. Significa avere il coraggio di affrontare il proprio dolore in modo nuovo.

In conclusione, ADHD e disturbi alimentari possono essere associati ma non sono una condanna. Sono due modi in cui la tua mente cerca di sopravvivere a un mondo che forse non ti ha capito fino in fondo. Ma oggi puoi iniziare a riscrivere la tua storia – con più consapevolezza, più gentilezza, e finalmente con il supporto giusto.