La sindrome da rialimentazione

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La sindrome da rialimentazione (refeeding syndrome per gli autori anglosassoni) rappresenta la complicazione più grave – talvolta mortale – che può verificarsi durante la rialimentazione di pazienti gravemente malnutriti (o che digiunano da almeno 7-10 giorni) e il cui metabolismo si è ormai adattato all’utilizzo degli acidi grassi e dei corpi chetonici per la produzione di energia.

Questo problema riguarda molti tipi di malattie – tra le quali anche l’Anoressia Nervosa (AN) – allorchè i pazienti vengono ricoverati in ospedale in stato di grave sottopeso e sottoposti ad un programma di nutrizione intensiva troppo aggressivo. Il disturbo insorge solitamente entro i primi due o tre giorni della rialimentazione e consegue a una serie di anomalie metaboliche che derivano dalle alterazioni idro-elettrolitiche scatenate dall’aumento di nutrienti assorbiti dalle cellule del paziente (grazie alla rinnovata stimolazione insulinica) le quali richiamano al loro interno una serie di minerali sottraendoli al circolo sanguigno.

Queste alterazioni, che coinvolgono i livelli sierici di fosfati, magnesio e potassio, scatenano anomalie a livello neurologico, cardiovascolare, polmonare, neuromuscolare ed ematologico talmente gravi che, se non viene riconosciuta e adeguatamente trattata nel più breve tempo possibile, la sindrome da rialimentazione può portare alla morte del paziente.

La terapia è innanzitutto preventiva, e consiste nell’aumentare progressivamente il carico calorico e nutrizionale nel corso della rialimentazione, misurando continuamente i livelli plasmatici di glicemia, trigliceridi, elettroliti e bicarbonati e supplementando il paziente con complessi vitaminici e minerali. A partire dal settimo giorno di rialimentazione il rischio di sviluppare una sindrome da rialimentazione si abbassa repentinamente fino ad azzerarsi.

Questo è il motivo per cui, quando una paziente con grave stato di denutrizione viene ricoverata in ospedale, nel corso delle prime settimane di degenza viene solitamente accolta in un reparto di medicina o di nutrizione clinica anzichè in psichiatria. E questo è anche il motivo per cui, quando è presente una grave malnutrizione la rialimentazione andrebbe sempre condotta in ambiente ospedaliero.