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Il corpo come avatar

Il corpo come avatar: disturbi alimentari nell’era digitale

Il corpo come avatarImage ©: 3D_Realistix

Oggi parliamo del corpo come avatar e dei disturbi alimentari nell’era digitale. Ti è mai capitato di guardare il tuo avatar in un videogioco o su una piattaforma social e pensare: “Magari il mio corpo fosse così”?

Se la risposta è sì, sappi che è molto più comune di quanto immagini. E non riguarda solo l’ego o la vanità, ma tocca il modo in cui percepiamo il nostro corpo in un’epoca in cui l’identità digitale pesa quanto – e a volte più – di quella fisica.

Da psicoterapeuta che si occupa di disturbi alimentari, sto vedendo una trasformazione silenziosa ma potente: il corpo non è più soltanto qualcosa che viviamo, ma qualcosa che progettiamo, quasi fosse un personaggio di un videogioco. E quando il corpo reale non coincide con quello digitale… iniziano i problemi.

Siamo cresciuti a selfie e filtri, ma il metaverso ha fatto un ulteriore passo: ci permette di creare un corpo come se fosse un progetto grafico. Puoi essere altissima, magrissima, muscolosa, filiforme, fluida, androgina, ibrida… tutto. Non è solo libertà creativa, è un nuovo modo di esistere.

Il punto è che questo corpo digitale spesso diventa una versione idealizzata, una sorta di sogno lucido di ciò che vorremmo essere. E quando torniamo nel corpo reale – quello che suda, che ha fame, si stanca, cambia – può emergere una discrepanza fastidiosa; a volte dolorosa.

Nelle sedute di terapia sento spesso cose del tipo: “Il mio avatar è la versione di me che nessuno potrà mai rifiutare.” Oppure: “Quando sono online, mi sento leggerə, fuori dal corpo. Nella vita vera mi sento pesante.” È qui che il rischio dei disturbi alimentari entra in gioco. L’avatar diventa un modello irraggiungibile che cerchiamo di imitare con la dieta, l’allenamento, la restrizione, l’ossessione del controllo.

Non succede da un giorno all’altro. È un processo sottile, che inizia con il confronto:

  • tra ciò che siamo e ciò che “potremmo essere”

  • tra corpi reali e corpi digitali

  • tra sensazioni fisiche e performance visive

E a un certo punto il corpo reale sembra quasi un bug, un errore di rendering. In più, il metaverso e i social alimentano un circolo vizioso: feedback immediati, avatar iperperfetti, estetiche irrealistiche. Tutto questo può amplificare la vergogna, l’insoddisfazione e la disconnessione da ciò che si prova davvero.

La buona notizia è che l’avatar non deve necessariamente essere un nemico. Anzi, in terapia può diventare un alleato sorprendente. L’immagine digitale che scegli dice molto di te: cosa desideri, quali parti senti bloccate, cosa vorresti sperimentare senza la paura del giudizio. L’obiettivo non è somigliare al proprio avatar, ma capire perché quel corpo digitale ci rappresenta, cosa esprime che il corpo reale non riesce.

È un lavoro di integrazione, non di perfezione fisica. L’essenza è questa: non siamo costretti a scegliere tra “io reale” e “io digitale”. Possiamo imparare a farli dialogare. E parallelamente, c’è un cammino prezioso da fare: tornare ad abitare il corpo reale. Non come oggetto da perfezionare, ma come luogo vivo, fatto di sensazioni, limiti, storia.

Se ti rendi conto che il corpo digitale pesa più del tuo corpo reale, puoi partire da alcune domande come queste:

  • Che sensazione provo quando mi guardo allo specchio dopo aver trascorso del tempo nel metaverso?

  • Quanta parte del mio umore dipende dall’immagine che presento online?

  • Mi è capitato di modificare il mio modo di mangiare o di allenarmi per avvicinarmi al mio avatar?

Sono domande semplici ma scomode, che spesso aprono scenari importanti. Poi, a piccoli passi:

  • Riduci il bombardamento visivo se noti che, dopo aver utilizzato certe piattaforme, ti senti a terra.

  • Riporta l’attenzione sul corpo con gesti quotidiani: mangiare senza schermi, respirare profondamente, muoverti senza obiettivi estetici.

  • Parlane con qualcuno che non ti dica “ma sì, è solo un gioco”. Ovvero, se senti che il rapporto con il cibo o col corpo sta diventando un pensiero fisso, cerca un aiuto professionale. Non perché “sei grave”, ma perché meriti di stare meglio.

Il metaverso, gli avatar, le identità digitali, sono strumenti potentissimi. Possiamo usarli per esplorare chi siamo, per giocare, per creare. Ma non possono sostituirci. Il corpo reale non è un downgrade. È il posto in cui viviamo davvero, quello che sente, che soffre, che si emoziona, che ci accompagna.

L’avatar può talvolta essere un racconto di te, ma mai un verdetto su di te. E se inizi a guardarlo così, può diventare una porta verso la cura, anziché un recinto che ti imprigiona.