Il corpo grida ciò che la mente non sa dire

Il corpo grida ciò che la mente non sa direImage©: StockSnap

Il corpo grida ciò che la mente non sa dire, questa è l’essenza dei disturbi alimentari. Mangiare non è solo nutrirsi. È relazione, identità, controllo, conforto, ribellione. È una danza sottile tra ciò che sentiamo e ciò che pensiamo. I disturbi alimentari nascono quando questa danza si spezza, quando il dialogo tra il nostro sentire (femminile) e il nostro raziocinio (maschile) si trasforma in conflitto.

Non sono solo malattie del corpo, anche se il corpo ne porta i segni visibili. Sono ferite dell’anima, mappe emozionali che non abbiamo imparato a leggere. L’anoressia, la bulimia, il binge eating non sono capricci, né mode. Sono strategie di sopravvivenza, tentativi disperati (e creativi, per quanto distruttivi) di trovare un equilibrio quando tutto dentro vacilla.

Il femminile in noi sente. Ha bisogno di ascolto, di accoglienza, di tempo. Ma in una società che premia la performance e l’autocontrollo, impariamo presto a zittire le emozioni. Il maschile, con la sua logica e la sua spinta a “funzionare”, prende il sopravvento: ci dice che dobbiamo essere forti, belli, efficienti. Che dobbiamo controllare tutto, anche il corpo, anche la fame.

E così, ciò che sentiamo diventa ingombrante. La fame emotiva si confonde con quella fisica. Il cibo diventa l’unico linguaggio possibile per esprimere un dolore che non trova parole. Si mangia troppo per riempire un vuoto. Si digiuna per sentire di avere il potere. Si vomita per espellere un senso di colpa che non ci appartiene.

In un disturbo alimentare, il corpo diventa campo di battaglia. Lo si punisce, lo si modella, lo si odia, lo si vuole cancellare. Ma quel corpo siamo noi. E quando lo attacchiamo, in realtà stiamo attaccando una parte di noi che chiede solo di essere riconosciuta. Il corpo parla quando la mente tace. E dice sempre la verità.

Spesso, dietro a un disturbo alimentare, c’è un trauma, un vuoto relazionale, un’identità fragile, un dolore antico. Ma c’è anche una grande sensibilità, una ricerca profonda di senso, un bisogno autentico di connessione. Il problema non è il cibo. Il problema è tutto ciò che il cibo cerca di nascondere, di anestetizzare, di sistemare.

Guarire da un disturbo alimentare non significa “tornare a mangiare normalmente”. Significa ritrovare un’alleanza con se stessi. Riunire il maschile e il femminile interiori. Dare spazio al sentire, senza perdere il pensiero. Ritrovare fiducia nel corpo, senza paura di ascoltarlo.

È un processo lento, imperfetto, spesso doloroso. Ma è anche un atto di profonda libertà. Non si tratta solo di guarire, ma di rinascere. Di dire: non voglio più combattermi. Voglio capirmi. Voglio accogliermi.

Se stai vivendo un disturbo alimentare, o se ami qualcuno che lo sta vivendo, sappi questo: non sei sbagliato. Il tuo dolore ha un senso, anche se adesso ti sembra incomprensibile. E non sei solo. Ci sono professionisti, reti, storie che possono aiutarti a fare pace con quel corpo che oggi ti fa paura.

Il corpo grida ciò che la mente non sa dire. Perché il corpo non è il problema. È il messaggero. E ascoltarlo può essere il primo passo per tornare a casa.

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