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Mangiare luce. Pseudoscienze e disturbi identità

Mangiare luce: l’ascesa delle pseudoscienze alimentari nei disturbi dell’identità

Image ©:ReenablackMangiare luce. Pseudoscienze e disturbi identità

In questo post voglio parlarvi dell’ascesa delle pseudoscienze alimentari nei disturbi dell’identità. Il motivo è che negli ultimi anni ho visto diffondersi online una quantità di racconti seducenti: persone che dichiarano di vivere “di prana”, influencer che giurano di “resettare l’anima” con digiuni interminabili, community che promettono purezza e identità nuova attraverso regimi alimentari sempre più ristretti.

È il cosiddetto fascino del mangiare luce, un ombrello che include il Breatharianesimo, le diete estreme e la spiritualizzazione del digiuno estremo. Il problema? Queste narrazioni, pur presentandosi come percorsi di crescita, spesso alimentano disturbi dell’identità e disturbi alimentari. L’idea di “purificarsi” fino a diventare eterei rischia di trasformarsi in una gabbia: meno mangio, più valgo, più divengo “vero”. Un’equazione tossica.

Il Breatharianesimo sostiene che si possa vivere senza cibo (e talvolta senza acqua), nutrendosi soltanto di energia vitale. Non esistono prove scientifiche che lo supportino; esistono, invece, rischi medici gravissimi (malnutrizione, squilibri elettrolitici, complicanze cardiache). Dietro al linguaggio spirituale, spesso si nasconde una negazione del corpo—e quando l’identità è fragile, l’idea di trascenderlo diventa un’illusione seducente.

Quando l’identità è incerta, pensiamo a periodi di transizione, rotture, burnout, traumi, il bisogno di controllo, appartenenza e significato cresce. Le pseudoscienze alimentari offrono:

  • Controllo totale: “Se controllo il cibo, controllo la vita”. Ridurre l’assunzione diventa un modo rapido (e pericoloso) per sentire potere.

  • Purezza morale: il cibo non è più nutrimento, ma peccato o virtù. Nasce la spiritualizzazione del digiuno: meno mangio, più divengo “elevato”.

  • Identità di gruppo: community online offrono appartenenza, lessico comune, rituali, del tipo: “Noi capiamo la verità, gli altri dormono”.

  • Pensiero magico: promessa di trasformazione istantanea (“digiuna tre giorni e rinascirai”).

  • Dissociazione dal corpo: in chi ha storia di trauma, il corpo può essere vissuto come estraneo; affamarlo diventa un modo di non sentirlo.

Il digiuno ha radici culturali e religiose complesse; praticato in modo breve e consapevole, con indicazioni mediche, può avere significati personali legittimi. Ma nella versione social—challenge prolungate, “water fasting” di settimane, “dry fasting” come prova di purezza—si scivola presto in condotte disfunzionali che rinforzano sintomi ansiosi, depressivi e ossessivo-compulsivi. Quali?

  • Diminuzione rapida di peso, stanchezza estrema, capogiri, sincope.

  • Ossessioni su “cibi impuri”, rituali rigidi, conteggi maniacali.

  • Isolamento sociale: rifiuto di pasti in compagnia per “non contaminarsi”.

  • Linguaggio assolutista (“tutto o niente”, “puro/impuro”).

  • Segretezza, bugie su ciò che si mangia, pratica di digiuni prolungati non condivisi con familiari/curanti.

Sotto l’ideale di nutrirsi di luce spesso c’è sempre un desiderio legittimo: quello di sentirsi integri, liberi, in pace. Ma l’astensione ritualizzata non restituisce identità; la frantuma in una moltitudine di regole e colpa. Il vero desiderio da coltivare è un altro: ricongiungersi al corpo come luogo di sicurezza, trovare comunità non basate sulla restrizione, dare significato alla vita senza sacrificare la salute. Qui non si tratta di “forza di volontà”, ma di ricostruzione identitaria. Ecco una mappa essenziale:

  • Inventario dei trigger: annota quando emergono pensieri di purezza/restrizione (ora del giorno, profili seguiti, stati emotivi).

  • Sostituzioni narrative: quando compare “devo purificarmi”, rispondi con “posso regolarmi senza punirmi” e aggiungi un’azione di cura (bere, fare uno snack bilanciato, riposare).

  • Contratti di realtà: condividi con una persona fidata un patto anti-digiuno estremo (“se penso a un dry fast, ti scrivo prima”).

  • Feed detox: rimuovi contenuti pro-Breatharianesimo/diete estreme; segui profili di nutrizionisti e terapeuti con approccio evidence-based.

  • Team di supporto: valuta un percorso con uno psicoterapeuta specializzato in disturbi alimentari e un dietista con esperienza clinica. Se ci sono sintomi fisici, coinvolgi il tuo medico di fiducia

Attenzione infine ai casi in cui è necessario un controllo medico urgente. Mi riferisco specificamente a:

  • Capogiri, svenimenti, dolore toracico, amenorrea prolungata, perdita di peso rapida.

  • Condotte di digiuno >24–36 ore ripetute, soprattutto se accompagnate da disidratazione.

  • Pensieri autolesivi o ideazione suicidaria: in questi casi, contatta subito i servizi di emergenza o le linee di ascolto del tuo territorio.

Ricorda, la vera crescita spirituale non passa per l’invisibilità del corpo, ma per la sua riconciliazione. Nutrire il sé significa nutrire anche il corpo: con cibo, relazioni sane, riposo e senso. Se ti riconosci in questi temi, parlare con uno specialista può aprire un varco fuori dal labirinto. Se questo post ti ha parlato, salvalo e condividilo con chi potrebbe averne bisogno.

A proposito di pregorexia

pregorexiaImage ©: Zeshdo

La pregorexia, termine che deriva dalla fusione delle parole anglosassoni “pregnancy” (gravidanza) e “anorexia” (anoressia), è un disturbo alimentare che colpisce alcune donne durante la gravidanza. Questo fenomeno, seppur poco comune, sta attirando la nostra attenzione per le gravi implicazioni che comporta sia per la madre che per il bambino, dato che ne abbiamo seguiti alcuni casi nel corso dell’ anno.

In pratica, la pregorexia si manifesta con una preoccupazione ossessiva per il peso e la forma del corpo durante la gravidanza. Le donne che ne soffrono tendono a limitare drasticamente l’assunzione di cibo, a esercitarsi in modo eccessivo, e a evitare di aumentare di peso in modo appropriato. Tutto ciò avviene nonostante la gravidanza richieda un aumento di peso controllato per garantire lo sviluppo del feto e il benessere della madre.

Le cause della pregorexia sono multifattoriali. Alcune donne possono sviluppare questo disturbo a causa di pressioni sociali e culturali che enfatizzano l’importanza della magrezza anche durante la gravidanza. I social media, in particolare, giocano un ruolo significativo, mostrando immagini di celebrità e influencer che sembrano mantenere corpi magri durante e dopo la gravidanza. Una storia pregressa di disturbi alimentari non risolti può aumentare anch’essa il rischio di sviluppare la pregorexia.

Le conseguenze per la salute sono potenzialmente devastanti. Per la madre, il rischio include malnutrizione, debolezza muscolare, perdita di densità ossea e complicazioni durante il parto. Per il feto, invece, possono verificarsi problemi di crescita, basso peso alla nascita, parto prematuro e problemi cognitivi o di sviluppo a lungo termine.

Riconoscere e affrontare la pregorexia è fondamentale. I medici, le ostetriche e i professionisti della salute mentale devono prestare attenzione ai segnali di questo disturbo, che possono includere un’insufficiente crescita del peso durante la gravidanza, commenti ossessivi sul proprio corpo o comportamenti alimentari restrittivi.

Il trattamento della pregorexia richiede, come per gli altri DCA, un approccio multidisciplinare che dovrebbe includere consulenze nutrizionali, supporto psicologico e terapia cognitivo-comportamentale. Non si tratta però di un percorso facile che dovrà necessariamente essere esteso anche al post-partum e ai primi anni di vita del neonato.

La gravidanza è un periodo unico nella vita di una donna, durante il quale il corpo si adatta per creare una nuova vita. È fondamentale ricordare che prendersi cura del proprio corpo in questo periodo non significa solo nutrire se stessi, ma anche il proprio bambino. La salute e il benessere devono essere sempre la priorità, superando l’ossessione per standard estetici irrealistici. Passate parola!